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venerdì 14 settembre 2012

Viaggio dentro il dolore (racconto)


Qualcuno deve aver inventato il dolore, e credo, non per il fatto di far star male, ma come una medicina per guarire da altri mali interiori, e credo anche, non sia un fatto contrario alla gioia, anche se un segno ce lo lascia. Credo proprio che si debba ripartire da quel segno per riequilibrare di nuovo ciò che si perde, perché Il dolore non è solo un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a un danno tessutale, e nemmeno un fenomeno sensoriale.
L'esperienza del dolore è determinata dalla dimensione affettiva e cognitiva dalle esperienze passate, dalla struttura psichica e da fattori socio-culturali. E se vogliamo, quando è fisiologico, è un sintomo vitale/esistenziale, una specie di sistema di difesa, quando rappresenta un segnale d’allarme per una lesione tessutale, essenziale per evitare un danno. 
Metti che ti fai male o subisci uno di quegli inconventi danni sul tessuto quando sei tu a procurartelo inconsapevolmente con un taglio di coltello, forbici o schegge di vetro o legno. 
Metti che cadi, ti fratturi una gamba, un braccio o ti procuri una semplice abrasione o ustione: quel male pungente, tirante, bruciante e pruriginoso, è una specie di sbarra, per non andare oltre... e dunque ti fermi a leccarti le ferite. 
Ti fa male lo so. Ma proprio perchè fa male, devi considerarlo un'esperienza benevole, che se non ci fosse, sarebbe peggio.
Se non ci fosse il dolore, ad un piccolo taglio di coltello al dito in un incidente domestico, non ti fermeresti e continueresti a tagliartelo sino a tranciarti l'arto. Dunque, in alcuni casi è davvero benevolo.
Il dolore però, non è solo fisico, diciamo a... carne, tanto per capirci, ma anche esistenziale, come un danno biologico e contagiante. E non è quantificabile. Cioè, è difficile misurarlo e valutarlo nella sua completezza.
Solitamente crea disagio fisico e psichico. Compassione o gioia maligna, e dal punto di vista di durata temporale è classificabile come:
Transitorio: quando vi è un'attivazione dei sensi che trasmettono stimoli dolorosi, senza danno tessutale. Di solito, quando qualcuno ci ferisce a parole, oppure percepiamo un sintomo di disagio perchè vediamo quello che non ci aspettiamo di vedere. Un disagio di un parente o di un amico cui teniamo, ci contagia sino a farci stare male. Però, scompare con la cessazione dello stimolo.
Acuto, di breve durata, in cui solitamente il rapporto di causa/effetto è evidente, tipo quello elencato sopra con danno tessutale e che scompare con la riparazione del danno.
Recidivo, in casi che si ripetono per patologie o comuni mal di testa, aerofagite, artrosi ecc.
E cronico, quando è associato a profonde modificazioni della personalità e dello stile di vita, o quando avviene una malattia che non lascia speranze o magari un incidente che ha causato la morte di qualcuno. Questo tipo, non è lo stesso per tutti, ma procede a gradi. Ad esempio, è diverso dalla morte di un parente, un famigliare stretto o di un figlio. E lo stesso dolore che accomuna, è perfino diverso tra persone. Ed è cronico in diverse intensità. Ma nell'insieme, e come specificato prima, il dolore, anche se sembra un controsenso, può essere utile e non utile, e diventa utile quando rappresenta un campanello d'allarme e ci fa capire che siamo di fronte a un potenziale problema più o meno grave. 
Tutti quelli che non fanno le veci di un campanello d'allarme sono inutili e devono essere soppressi, tipo quelli di natura cronica di qualunque provenienza, benigni o maligni e in alcuni rari casi patologici. 
Vi ho introdotto un sistema complesso che deve farci riflettere, poichè, il racconto, tratta appunto un viaggio dentro un dolore nelle sue forme diverse tra persone, ma che li accomuna.
La storia è vera, ma userò nomi di fantasia per proteggere i protagonisti di questo racconto seppur incredibile, ma capace di far comprendere che a volte, ci vuole un certo tipo di dolore per correggere un cammino.
La porta che delimitava l'area rossa del pronto soccorso si aprì di colpo. Una dottoressa, tutta agitata, col camice aperto, chiedeva aiuto ad altri colleghi. Presto: quel ragazzo è in coma. 
Dobbiamo agire! 
E subito, un roteare di barelle, sedie che cadevano a terra in quell'area in subbuglio per la concitazione. Di colpo, una specie di allarme che allertò persino ignare persone che aspettavano il loro turno per essere medicati. Tutti i medici corsero verso quel ragazzo disteso e a petto nudo in una stanza, adagiato su un lettino. Era stato portato poco prima da un'auto ambulanza, chiamata da un comune mortale che stava tornando a casa e lo aveva visto disteso per terra sul marciapiedi. Un drogato senz'altro, visto che non era un barbone e che nelle mani stringeva un flacone di metadone, soluzione orale da 20mg. Perciò, aveva dato l'allarme, e il 118 allertato, in cinque minuti era già sul posto. 
Gli operatori del servizio sanitario, stavano cercando di rianimarlo.
Ha assunto metadone, forse troppo e tagliato male, furono le parole della dottoressa che lo aveva preso in carico. E la temperatura del corpo è di 30 gradi. Un record, poiché già sotto i 32 uno è già cadavere. Ma quel ragazzo dava segni di vita, gli occhi, seppur vitrei, si muovevano. Bisognava rianimarlo.
Defibrillatore presto, disse un giovane dottore accorso allo staff medico! E poi, infermiera... mi serve un prelievo urgente e 100mg di Labetanolo in soluzione fisiologica. E inoltre, gli somministri una fiala da 0,150mg. di Cartapresan
Ema è arrivato questo cazzo di defibrillatore? Ah, ecco! Presto... dammi le placche. 
Carica... !!! Pronto?
Uno... due... tre... libera...
Il corpo ebbe una reazione a quella scarica e fu trascinato in avant. Ma non si rianimò.
Maledizione... carica ancora... la frequenza cardiaca è piatta!
Pronto? Uno... due... tre... libera!
Tutto come prima. La scarica, produceva solo a scuoterlo, ma la frequenza era ancora piatta. Bisognava lottare contro il tempo, poi, sarebbe stato dichiarato morto.
Ancora... porco diavolo... carica sto' cazzo di macchinario...
Uno... due... tre... libera!
A quella scossa, la frequenza cominciò prima a sussultare debolmente, poi, a riprendere, sinchè le onde si fecero più concrete. Un sospiro di sollievo mise tutti a proprio agio.
E il sorriso, fu nella bocca di tutti.
Ce l'abbiamo fatta... disse il giovane dottore che aveva praticato l'elettroshock.
Gli controllò le pupille. Erano ancora dilatate, ma aveva una speranza. Mi serve una Tac, disse poi, e all'infermiera, aggiunga del solfato di magnesio nella soluzione. 10 mg. Bastano.
Il ragazzo fu portato in radiologia sempre assistito, e poi, in terapia intensiva. Constatato che danni cerebrali non ve n'erano, cominciava una fase, diciamo critica, poichè dal coma, non si sa quando si esce.
Fuori, iniziò la discesa all'inferno dei parenti allertati da qualcuno e ansiosi del loro ragazzo.
Ma chi era quel giovanotto caduto così in basso da essere sulla soglia morte: il suo nome era Fabrizio, un bravo ragazzo con ottimi propositi e figlio modello. Universitario, con un futuro da aprire a scatola chiusa, poichè suo papà ingegnere stravedeva per lui e lo voleva nella sua scuderia. Lo vantava davanti a tutti, e forse per questo, per reggere i ritmi delle speranze di un padre e per non dargli un dispiacere, aveva cominciato a cercare alternative per essere sempre efficiente. Si comincia con una canna fumata e passata tra amici, e si finisce sempre così. Per un errore di valutazione, ha ingerito più metadone di quello che poteva tollerare ed è finito in coma. L'odissea di suo padre, era tale, che non accettava un figlio drogato. Secondo lui, qualcuno ce lo aveva portato. Era davvero inimmaginabile che suo figlio si fosse drogato, e la sua veduta, non era sul fatto che egli era sulla soglia della morte, ma perchè, gli altri, medici compresi, l'avevano considerato drogato e che qualcuno lo avesse pensato perchè trovato su un marciapiedi senza vita.
Definire la logica è impossibile, poichè uno che assume stupefacenti è un tossico dipendente, sia che assume porcherie una volta che tante. Inutile sbattersi la testa sul muro: una definizione in campo medico bisogna pur darla, e Fabrizio era stato classificato come giusto che fosse, proprio un tossico.
Dio che vergogna... saremo sulla bocca di tutti! E si dava schiaffi in faccia. Il suo dolore era questo: scontato che suo figlio si salvasse, rimaneva il problema che lui non potesse più frequentare l'alta società. Le chiacchiere, le dicerie, sarebbero state atroci. 
La madre invece, avrebbe dato la sua vita per salvarlo, e il suo dolore, come sempre, era soffocato dalla padronanza del marito!
La sorella, versava lacrime tra le braccia di un'amica che la confortava, e gli amici più stretti, che non si capacitavano di quanto accaduto, erano vicini al dolore, assicurando ai genitori, che mai Fabrizio aveva dato modo di far vedere che fosse un tossico. Ma si tenevano lontani dal padre, poichè aveva ripetuto tante volte che qualche amico lo aveva portato a drogarsi. Soffrivano anche per un'accusa ingiusta oltre all'amico che stavano per perdere.
Fabrizio, era in una stanza con luci basse e violette, collegato a macchinari, dove gli assistenti, attraverso dei monitor, valutavano il suo stato. E negli orari di visite, solo un parente, o al massimo due, potevano accedere in un corridoio e vederlo attraverso una vetrata. Non era consentito entrare in quella stanza ovattata, e da quel vetro, potevano osservare il contenitore di un ragazzo inerme. 
Ritorna fra noi Fabrizio... diceva la madre, sottovoce, con un rigo di pianto, mentre le sue mani erano attaccate al vetro che la separava da suo figlio. Non andartene Fabri... Non puoi...
Videro un medico entrare nella stanza per visitarlo, e dopo, mentre passò ad un altro lettino, lui, picchiettò al vetro per attirare il medico. Come sta? Gli disse...
Compreso il labiale, quel medico invitò i due alla porta, che si precipitarono immediatamente. Poi, li fece avvicinare al ragazzo, con la promessa di non disturbare altri sospesi tra la vita e la morte. Un momento drammatico, dove la madre, come la Maria di Gesù, versò lacrime copiose. Un minuto appena e il medico, chiese di uscire da quella stanza troppo grande, dove c'erano sei lettini, ognuno contenente una storia diversa. La madre, accarezzò suo figlio, sussurrandogli all'orecchio quanto gli voleva bene. Suo padre, pur sempre nel dolore, si mantenne distante e contemplò il grande vuoto dentro, nonchè la pena di una situazione non comune alla sua etica. 
Queste situazioni, hanno sempre riguardato gli altri, i nullafacenti, quelli che protestano sempre, i disoccupati. Ma non suo figlio, lontano un mondo da questi. Gli aveva dato tutto, perciò, non poteva essere vero e certamente un farabutto aveva approfittato della sua bontà. Una rabbia gli implodeva dentro, e se avesse potuto... avrebbe spaccato tutto, anche il muso di qualcuno se si fosse interposto o avrebbe azzardato una minima considerazione del suo ragazzo sul come e perchè era lì. Questo il medico lo aveva capito, ed è per questo che poi, li ha invitati nel suo studio.
Fatti accomodare, prese a dire: vostro figlio è un tossico. Gli esami hanno evidenziato che faceva uso di sostanze stupefacenti da tempo, diciamo un anno. Ci sono tracce di eroina. Poi, chissà come, aveva deciso di disintossicarsi in un modo fai da te, assumendo metadone, perchè è più facile trovarlo, persino in internet. E questa volta ha esagerato. 
Sentite, so che il ragazzo è di buona famiglia, di solito, parlo con genitori che hanno problemi e vivono un gran disagio, e i figli, che sono il loro riflesso, ne risentono molto e cercano di affogare la loro rabbia in alternative che li faccia sentire di essere superiori agli altri. Ma non sempre questa scelta la fa un disagiato: ci sono quelli che devono vincere la noia dentro, e altri, che devono mantenere un certo ritmo e non ce la fanno e si vanno ad impelacare da soli in situazioni fuori dalla loro portata. Voi, vi siete mai chiesti se vostro figlio poteva sostenere il ritmo degli studi? Magari era ossessionato dagli esami. Un genitore ha il compito di essere sì protettivo, ma anche di dare fiducia e di andare incontro a certi malesseri, che devono essere interpretati come campanello di allarme. Voi, non avete notato nulla di strano nei suoi comportamenti?
Vuole forse darci lezione di vita dottore? Lo interruppe il padre...
O ci sta dicendo che non siamo buoni genitori, disse ancora con un estremo tono da troncare di netto la conversazione. Nostro figlio è di la, tra la vita e la morte, e lei, ci chiama per parlarci di moralità?
Le sto spiegando che dovete accettare questa situazione e di aiutare vostro figlio, semmai torna a stare con voi, anzichè pressarlo o trattarlo come un tossico, replicò il dottore.
Lei faccia il suo mestiere, che a fare i genitori ci pensiamo noi. E non dica cavolate: mio figlio si riprenderà e prenderà la laurea, e magari sarà meglio di lei, accusò il padre.
Guardi, che sono genitore anch'io, e appena ho visto che mio figlio non era portato per gli studi, certo, mi ha dato un dolore, ma gli ho permesso di fare quel che sentiva di fare: un corso da panettiere.
Non m'interessa suo figlio cosa faccia! Interessa invece che mio figlio esca di qui vivo!
In questo caso, il dottore li lasciò andare. Di fronte a certi soggetti, usa la sua psicologia di lasciarli nella loro convinzione, poichè potrebbero far danni non solo agli altri, ma persino a se stessi. 
I genitori di Fabrizio, si sedettero su delle comode sedie nella sala d'attesa, fuori dal reparto, tra gente che vivevano più o meno la loro situazione chi in un modo e chi in un altro.
Fabrizio, era in un tunnel completamente buio e non sapeva dove andare. Sentiva voci frammentate sopra di lui, e poteva riconoscere quella della madre, sua sorella e anche del padre. 
E provava gran pena per non essere compreso nemmeno in quella situazione. Dove sono... si chiedeva!
Poi, un senso di pace e calore indescrivibile, gli innescò il forte desiderio di restare lì, quasi come a stare nascosto da loro, e una spinta invisibile, lo costrinse a camminare verso un puntino piccolissimo di luce. Sapeva di andare dall'altra parte e di allontanarsi, ma il senso di pace che provava era qualcosa di indescrivibile che nemmeno in famiglia aveva mai provato. Era sicuro che quando avrebbe raggiunto la luce, la porta delle meraviglie si sarebbe spalancata per lui. Se lo sentiva. Ma era anche sicurissimo che tutto ciò non aveva nulla di sovrannaturale, e soprattutto, che non aveva niente a che vedere con l’aldilà. 
Si toccava, era vivo e provava emozioni.
E mentre percorreva il tunnel, la visione di come si trovava lì dentro, prese luce, come in uno schermo dentro la mente. Più si addentrava verso la luce e più gli erano chiare le cose. Era al Pc e stava ascoltando una musica techno a basso volume, aveva appena lasciato i libri, come un peso da gettare via il più lontano possibile. Tre esami non dati, mentre in famiglia, aveva detto di averli superati con un ottimo punteggio. Poi, a cercare quel tizio al pub per ottenere la roba. L'euforia... la sensazione di non fare nulla di male... tanto, posso smettere quando voglio si era detto... sino a che, su quel marciapiedi, non si è sentito male e ha cominciato ad annebbiargli la vista. Anche in quell'occasione aveva sentito le voci dei passanti che non davano peso, tanto, era un drogato qualunque... e quella di un signore accanto che gli diceva: ragazzo... stai male? Si sentii scuotere, e poi le sirene... i medici e persino gli aghi che gli entravano nella pelle.
Anche in quella occasione, si domandò dov'era e provava caldo. Non vedeva nulla, probabilmente perché era ad occhi chiusi e cercava di capire il tempo della musica per razionalizzare il contesto in cui si trovava. E molto più tardi ha scoperto che non si trattava di una musica techno, ma del rumore del respiratore artificiale associata alla sua memoria nella musica preferita. La sua sensazione fu di stare in una sala al buio, e preso coraggio, si è alzato dal letto per andare verso la porta, ed è stato lì, che ha avuto uno shock. Anzi, tre, nel vedersi ancora a letto mentre i medici gli praticavano l'elettroshock. Lui era vivo, distante e stava vedendo tutto. Come poteva essere!
Quello sul letto era proprio lui e non sapeva spiegarsi come, e immediatamente, la sua reazione fu di piangere e la volontà di fuggire via, per andare incontro ai genitori fuori e dire loro che non era vero nulla. Lui stava bene!
Ma uscito dalla porta, si trovò esattamente in quel corridoio in cui stava percorrendo. 
La luce era ancora lontana. Quando mai la raggiungerò... si chiese... Intanto, un uomo si avvicinò ai genitori e... posso sedermi, disse?
Il padre di Fabrizio, gli fece posto, poichè le sedie erano quattro, e le altre, distanti, erano occupati. Sua moglie invece, si era addormentata ed erano le due di notte.
Come passa in fretta l'ora. Mica mi sono accorto che sono le due di notte, disse all'uomo!
Eh, sì, rispose lo sconosciuto. A volte, perdiamo la ricognizione del tempo.
Anche lei ha qualcuno dentro?
Sì, mio figlio! E' stato un incidente d'auto, disse il padre, mentendo spudoratamente allo sconosciuto.
E' in coma vero? Dicono che il coma sia una soglia da attraversare. Io non so cosa si prova, ma conosco il mio dolore e darei certamente il mio tempo per riportarlo di quà.
In che senso...
Che non m'importa come sia avvenuto o da che cosa è dipeso, se ho avuto torto o ragione. Vorrei trovarmi a casa e ricominciare un percorso diverso e assieme alla mia famiglia. Purtroppo, ci accorgiamo degli errori quando ormai è troppo tardi.
Io non ho fatto errori: quello che voleva gliel'ho dato. Persino un'auto nuova.
Forse è questo lo sbaglio: concedere sempre, dove poi, gli mancherà sempre qualcosa. Un no, a volte, fa bene e fa crescere. Non si può avere tutto, e se si potesse avere, ci si comprerebbe persino la morte.
Lei ha qualcuno in coma?
Sì, ma sono sereno sa?
E come fa a parlare con questa serenità quando ha un dolore dentro...
Il dolore a volte, serve a far riflettere. Noi pensiamo sia un meccanismo che ci faccia soffrire, ma vede, io in questo momento, desidero talmente forte la vita, che il dolore quasi non lo sento più.
Vorrei avere anch'io la sua serenità, disse il padre di Fabrizio.
Può averla...
E come...
Senta, se le faccio parlare con suo figlio, lei si impegnerebbe a cambiare?
Parlare con mio figlio? Ma se è in coma. E come può dirmi questo. Ma perchè non ci parla lei con suo figlio, invece di dirmi fesserie.
Mi creda, io ci parlo e lui mi risponde. Vuol provare?
E come ci entriamo se la porta è chiusa.
Venga...
Quell'uomo si alzò e aprì la porta con enorme facilità. 
Venga... gli disse ancora...
Ma... se ci scoprono...
Oh, stia tranquillo. Non ci scopriranno. Venga, e lasci pure sua moglie lì dov'è, la sua presenza non è necessaria. A lei non serve!
Biagio, il nome del papà di Fabrizio, si lasciò condurre da quell'uomo, che lo portò nella stanza del figlio e si meravigliò che nessuno contrastasse il loro cammino. Poteva vedere esattamente alcuni medici con la capo sala nella stanza dei controlli. Ma era come se fossero invisibili.
Nella stanza, vi era un corpo coperto e altri, che venivano tenuti in vita dai macchinari. Si posero accanto a Fabrizio che era intubato.
Gli tenga la mano, disse. Le risponderà!
Se qualcuno ci scopre...
Stia tranquillo. Il tempo che noi staremo qui non verrà nessuno.
Incredulo ma timoroso, sottovoce, il padre prese coraggio e cominciò a sussurrare nell'orecchio del figlio... Fabrizio... Fabrizio...!!!
Fabrizio sentì la voce dall'altra parte del tunnel, non verso la luce doce stava andando e scosso, riconobbe quella del padre.
Papà... papà... dove sei...!!!
Suo padre pianse, e dopo essersi scosso da un brivido sottile, riprese a comunicare. Fabrizio... sono quà, accanto a te. Svegliati, disse. Svegliati...
Non posso papà. C'è qualcosa che mi blocca e m'impedisce di venire da te. Ho tradito le tue attese!
Figlio mio... qualunque cosa hai fatto, non m'interessa, quanto invece, che tu torni da me.
Nel buio, anche se Fabrizio ora stava percorrendo il percorso indietro, ebbe timore, assieme ad un gran freddo. E si fermò. Papà... ho paura, disse. Non ho fatto tre esami e ti ho mentito. Tu vuoi un figlio ingegnere, ma io non ce la faccio. Ho cercato di procurarmi una dose per superare l'infelicità. Ti ho tradito come figlio e questa è la mia punizione.
Quell'uomo guardò lo sconosciuto, che gli fece cenno di perdonare. Ma Biagio aveva un blocco di ghiaccio nel cuore. E pur attraversato da quel gelo, si trovò ad un bivio: doveva scegliere, e se non avesse perdonato, avrebbe perso per sempre il figlio. 
Guardò lo sconosciuto e poi, pur avendo il cuore gelato, disse... figlio mio... ti perdono. E piangendo... se torni, prometto di non assillarti. Prenderai la strada che vorrai tu. Dimenticheremo tutto. Ora svegliati, ti prego!
Il suo cuore ora era pieno d'amore, come una brocca riempita da liquido caldo. Pianse ancora!
Lo sconosciuto sussurrò al padre di andare via! Suo figlio sta tornando, disse. Ma stanno tornando anche i dottori. E cercò di condurlo fuori. Mentre andavano, Biagio disse: quell'uomo coperto è morto vero?
Sì, rispose! Non ce l'ha fatta!
Vorrei vederlo. Un attimo solo. 
Pur opponendosi allo sconosciuto, egli scoprì il lenzuolo.
E restò di sasso nel constatare che quell'uomo morto era lo stesso che gli stava parlando.
Ma... ma...
Sssssstttt... sono io. Vada! I medici stanno tornando e tra poco daranno la notizia ai miei parenti fuori. Suo figlio sta tornando, abbia fiducia.
Le ho mentito per vergogna, pronunciò Biagio!
Lo so, disse quello. Il suo dolore era il suo non perdono. Ma ora, non ha notato che è sparito? Vada la prego. Non si faccia trovare qui, potrebbe modificare il percorso di suo figlio!
Vado, ma... chi è lei...
Arturo. Mi chiamo semplicemente Arturo e sono morto di incidente stradale!
Grazie d'avermi aiutato Arturo. Mi ricorderò di lei. E uscì di corsa per sedersi accanto alla moglie, che si svegliò, non appena i medici aprirono la porta. Il suo cuore sussultò!
Nostro figlio sta tornando disse. Quei medici stanno dando la notizia che il loro parente, Arturo è morto.
Come sai che si chiamava Arturo...
Lo so cara! Dobbiamo essere grato a quell'uomo. Se nostro figlio sta tornando è grazie a lui.
Cos'è accaduto mentre dormivo...
Niente cara... niente. Tra poco ci chiameranno. 
Fabrizio si sveglierà!

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