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mercoledì 25 dicembre 2013

Quella notte di Natale

Quella notte di Natale
eravamo tutti in Cattedrale
a lodare il bambinello
e ad ascoltare il narratore
nel lieto annuncio del passaggio della luce
sulla terra,
e in disparte, se ne stava tutta sola,
quasi schifata dai presenti
come fosse un'appestata...
Carmela, una che per mestiere
s'era fatta tutti i maschi
 per mantenere un figlio
che teneva in braccio addormentato.
"Chissà di chi è quel figlio...",
mormoravano i ben pensanti impellicciati...
l'unico argomento nella bocca 
delle pie signore,
anziché la lode
per il bambinello appena nato...
e gli uomini stavano bene accorti
dal guardarla.
Ho visto un calcio negli stinchi
ed una gomitata al petto
da una che anziché un vestito
aveva addosso tante perle...
mentre Carmela aveva grosse lacrime negli occhi,
e in quella luce, mi parve molto bella,
 luminosa come una stella,
almeno, era ciò che vedevano le pupille
e non solo quelle mie, ma anche del parroco
che celebrava Messa.
D'averla desiderata anch'io
e di goderla dentro a un letto lo confesso.
Carmela in fondo, aveva accolto
tutti quanti, pensai...
almeno quelli ch'eran delusi delle proprie mogli
e cercavano amore non corrisposto.
Una peccatrice, ma chi non lo era quella notte?
Ricordo di non aver mai letto che a lodare nella grotta
ci fossero signori benestanti,
ma pastorelli e poverelli,
peccatori e miscredenti
in quella notte di Betlemme.
E anche il parroco pensò la stessa cosa,
tanto che abbandonò quel bambinello di cartongesso
e andò a prendere quel bimbo addormentato
in braccio alla sua mamma
e invitò i presenti a venire in fila 
per adorarlo e baciargli i piedi.
Certo che, quella notte fu speciale
per chi era lì a spolverare la sua fede,
e quasi tutti poi, andarono da Carmela
per gli auguri, anche se qualcuna
giurò di non mettervi più i piedi
in quella cattedrale dove davvero
quella notte fu Natale.

Andrea Iaia

lunedì 23 dicembre 2013

Quel 23 dicembre...

Quel 23 dicembre
tornava come sempre
con l'andare poco stanco verso sera...
 mio padre.
Posò il cappello
al chiodo freddo delle stelle
con una lacrima dentro gli occhi
mentre in mano aveva due ciambelle
e nell'altra, un pacco avvolto in foglio di giornale...
 e io che stavo al davanzale
ad aspettare chissà cosa
e sognavo ad occhi aperti il mio regalo di Natale,
vidi sciogliere dentro il sale
e nel sussurro per non farmi poi sentire
mentre scartava il pacco...
che aveva perso il suo lavoro.
Può sembrare un po' banale,
ma un cappotto di paltò
che accarezzo ora nell'armadio,
è come aprire un baule di ricordi
dentro pagine di un tempo,
e quel pacco avvolto nel giornale
era un dono della croce rossa per sussidio.
Rivedo l'acqua chiara dentro gli occhi di mia madre
 e insieme al mio nello specchio,
quello desolato di mio padre
con il taglio di una storia di rinunce.
E quel 23 dicembre,
accanto al fuoco di un braciere,
cianfrusaglie e scarpe usate
per i poveri del quartiere...
biscotti e poca roba
con un sogno poi da bere in quelle grandi ciglia
che sembravan foglie di betulla
ondulate poi dal nulla.
Mio padre poi giurò di non aver bevuto
e raccontò d'aver visto un carro tagliare il cielo
mentre tornava a casa,
e una mano gettar germogli sulla terra per sfaldare il gelo.
E mentre mamma apparecchiava,
bussarono alla porta e di colpo tanta gente
ed ognuno aveva in mano quel qualcosa...
stessi poveri del quartiere
con il sorriso dignitoso...
che dissero: “Siamo in tanti,
 e non c'è bisogno poi di vergognarsi
se vediamo spegnersi quei sogni.
La vigilia di Natale c'è il giudizio universale
col bambinello nato al mondo che ci aspetta...
e comunque, andiam nei campi a pregare tutti quanti
come i pastorelli del presepe
e magari ci portiamo qualche bottiglia di spumante.”.
Cancellai dai sogni quella bicicletta
scritta nella letterina di Natale
e con quel che avevo, il giorno dopo
comprai una cravatta
per mio padre che li guardava con occhi asciutti
per andar con loro in quella favola glaciale
cui stranamente non sentivo freddo.
Quel 23 dicembre del sessantacinque
gettammo nella cenere il pianto della notte
e diventai più grande
allo scoccare della mezzanotte.

Andrea Iaia 

domenica 22 dicembre 2013

Chissà come saremo!



 Chissà come saremo!
Forse, avremo un vestito scintillante
o la luce di una cometa,
ma di sicuro ci saremo
in un'altra vita
e taglieremo il meridiano come vento.
Avremo matite per colorare altri sogni
da dare a chi rimane sulla terra...
e chissà quale futuro sarà di azzurro vivo
con quelle sfumature delicate
come lenzuola stese al sole
che si agitano come onde,
o come tende nella stanza
al soffio limpido dell'aria.
E come davanti ad uno specchio 
al di là del tempo
vedremo quel passato fatto di ricordi
in un gran miscuglio di emozioni...
sensazioni da gustare ancora...
e quelle cose che si sono perse
in quella corsa a certe convinzioni
e in quel modo d'esser ciechi e sordi
al richiamo dell'infinito.
E il vento soffierà sul libro della vita
sfogliando pagine in cui siam caduti,
e dove il lieto fine di ogni storia
è stato sempre quella mano
che ci ha ridato l'allegria...
la mano di un pittore
che ci ha fissati nella tela della gloria.
Chissà come saremo
quando la folgore a ciel sereno
ci cambierà nella magia di un'istante
e non diremo più... c'è tempo...
per essere dipinti in angeli cordiali
somiglianti a quelli con le ali.
Forse, neppure moriremo 
per rinascere di nuovo
in quel certo condensato di cielo ed aria,
ma saremo quel respiro sui riflessi
di mani che si cercano
e di capelli sciolti sui pensieri
perché il tempo si fermerà all'improvviso
e cancellerà le lacrime passate sopra il viso.

Andrea Iaia

mercoledì 18 dicembre 2013

Come un grido dell'anima



Quando si addormentano i sensi
e non ci sono più distanze tra il bianco e nero
e gli odori di un incontro che ti hanno cambiata
si affacciano agli occhi,
allora vedi quasi in silenzio
che negli incastri di te
aleggia quel nudo che si confonde
nelle luci di sera
e vai avanti e ti lasci poi corteggiare
da quella voce interiore
che ti parla e ti smorza il respiro.
Perché quel che ti dice è la verità,
ti conosce meglio di te stessa e sa...
che sei fragile e ti disciogli come un pugno di sale
nell'acqua del giorno quando prende a bollire
nella pentola e sul fuoco delle occasioni
perse o lasciate andare.
Basta guardarti negli occhi
per capire che nemmeno tacendo
riesci a togliere le spine conficcate nell'anima,
anch'esse piene d'intense emozioni
che vanno oltre il profumo dolciastro
che metti poi sulla pelle
per coprire e apparire bella e sensuale  
alla vista degli altri...
e nel vetro in cui ti specchi,
sembri non avere più bocca e nemmeno gli occhi,
ma compare un'altra immagine
in cui sei senza volto.
Ma la coscienza ti parla
e la senti come vento che passa
tra le labbra sporche di rosso
infilandosi come una lama a tagliare il veleno
cucito e penetrato come seconda pelle
sempre dentro di te e in un abisso
in cui non riesce a salire
per guardare con gli occhi diversi
il concerto dei sensi in nuove emozioni.
Quando pronunci a voce alta
quel sogno che dentro di te non prende vita
come un grido diretto all'infinito,
ecco che prende a salire e come tappo 
di buon vino invecchiato e conservato
per le grandi occasioni,
ti esplode davanti, come augurio di buon desiderio
da piantare radici nello scenario
di quel che si presenta.
Perché questo è il bello della nostra fragile vita...
rialzarsi e ricominciare dopo ogni caduta
anche se il dolore ci tormenta e sporca
l'innocente bisogno di andare avanti.

Andrea Iaia 

lunedì 16 dicembre 2013

La piccola donna col grembiule davanti



La piccola donna col fare materno,
ha solcato il vissuto di un novecento
dentro un quaderno di vita,
in cui aveva i capelli raccolti
e il grembiule davanti
nel profumo della terra dei venti.
Cosimina il suo nome,
figlia di buoni fattori
e di un paese che aveva vissuto il grigio
di un momento incolore,
nascosta nei campi
per via della guerra e del flagello
di un nemico dei tempi...
scandalo allora, se si fosse concessa
sotto violenza...
pensiero della grande ignoranza
nel profumo migliore dei quasi vent'anni.
Non era mai stata tra i banchi di scuola,
eppure dava lezioni di vita
e correzioni solide e pratiche 
col suo fare sempre materno
e dedita ad un certo servizio,
fossero anche maniere più brusche.
Analfabeta e imbattibile a gestire i conti,
forte contrasto, quasi ad essere luce
nei momenti di buio
dove gli altri avevan bisogno di aiuto...
fu la donna di un uomo buono
che aveva il sorriso e la grande risorsa
di non essere uomo dei campi
ma poeta e artigiano in piccole cose
che le accendevano il cuore,
ricambiando poi col suo sorriso
nella spinta leale del suo coraggio...
come fosse olio da condire il pane di vita
insieme al sapore speziato
della sua terra.
Figli maschi le ha dato e ben nove vissuti,
la piccola donna col grembiule davanti
li ha cresciuti con enorme fatica,
e sempre asciugandosi il sudore dalla fronte,
si è negata persino al riposo della domenica
per averli a tavola, 
unica e lunga come se avesse 
un esercito di validi fanti,
pronti a sfamarli poi tutti quanti
nella solenne cerimonia al calar della sera
nel vederli vinti dalle fatiche del loro lavoro.
E a passati ottant'anni
aveva persino in bocca tutti i suoi denti
e mai un abbandono o una malattia
aveva sfiancato il suo ventre.
La piccola donna col grembiule davanti
è oggi una santa mai dichiarata dalla gran Chiesa,
umile donna, matita leggera nelle mani di Dio,
come affermava madre Teresa di una certa Calcutta,
che diceva, che non v'è bisogno 
di una nomina poi tanto ufficiale
per essere grandi ai potenti del mondo,
ma basta essere semplice e dedita al focolare.
Figlia della terra dei venti
e del grano più biondo,
la piccola donna con i capelli raccolti
e il grembiule davanti,
splende ancora oggi nel dolce ricordo
di chi la tiene nel cuore
come perla lucente.

Andrea Iaia

sabato 14 dicembre 2013

Amo starti vicino



 Amo starti vicino 
in quel pezzo di mondo che si sveglia 
ed è in grado di accogliere
la mia presenza...
così, come amo sapere che aspetta
la mia confidenza con la sua luce...
e la carezza calda della voce
così penetrante da fondere il giorno
e quelle cose senza importanza.
Intorno, il profumo del primo mattino
in un caffè poco ristretto dentro una tazza,
e una scatola di latta, quella di dolci biscotti,
solo che per disattenzione,
ho preso quella sbagliata e contenente
foto ricordo di un certo passato
e di gente del mio paese
Insieme a lettere intrise d'amore...
un vaso di sabbia e souvenir di viaggio
dove lucida è ancora la dolce presenza
di quegli odori che ancora oggi 
avverto e assaggio.
Ti guardo dormire nel letto, e penso
che abbiamo girato quel film
che racconta la nostra storia,
anni di luce alle spalle
nella terra degli ulivi e dei venti
dove abbiamo solcato passaggi
seminati con pianto e dolce memoria
per arrivare ad oggi
in cui la luce è sempre la stessa
e che sorpassa il nostro vissuto
per attenderci oltre, 
dentro altre incognite presenze.
C'eri nel nostro correre a casa
ai tempi di scuola, così spensierati,
e nelle frastornate occasioni
in cui ci siamo persi di vista,
come negli incontri proibiti
e in quei baci furtivi 
con in testa una fissa,
quella del lento spogliarti
per averti all'ombra 
di tutto e di nascosto.
C'eri ai tempi del mio congedo,
in quel matrimonio inaspettato
perché stava arrivando
il primo figlio...
e c'eri al fantastico viaggio
dove il nostro germoglio 
si è trasformato in tempi migliori 
e nel soave sapore di noi.
E mentre osservo 
il richiamo della bevanda
ancora dentro la tazza,
amo guardarti scomposta nel letto
dove l'aria non muove una foglia
e sembra assorbire il tuo mugolare 
come un invito a chiudere 
presto le imposte
perché vuoi dormire...
e invece, mi pongo al tuo fianco 
e mi piace svegliarti,
per godere ancora della tua bocca
in questa coscienza di cartapesta.

Andrea Iaia


giovedì 12 dicembre 2013

Quello che non ti ho mai detto



Suona per noi una vecchia canzone
dove ti invito a ballare
sotto le luci di caldi sorrisi
e gente che applaude alla tua festa...
cinquant'anni non sono uno scherzo
ma somigliano ad un inizio
in cui mentre giriamo
e restiamo abbracciati,
penso a quei giorni
e alle parole che non ti ho mai detto,
remore di mie debolezze
e di quel vanto
che mi è sempre mancato.
Gli sguardi si perdono
per trattenere quel sogno
che s'infiamma all'orizzonte,
dove vedo brillare la luce,
la stessa che avevi a vent'anni...
e respiro l'aria fresca e leggera
di quell'oceano dove la brezza
soave della tua bocca
la mia, in quel tempo trattenne.
E aroma di more e di lievi vertigini
smorzarono l'oro dentro i tuoi occhi...
“prendimi ora, eccitata dicesti,
prima che io ci ripensi
e muoio sepolta
in un mancato sogno
dove sono stati sfiorati i miei sensi.”.
E la musica suona la stessa canzone,
quella che è stata per noi una bandiera,
dove abbiamo visto passare
lutti ed eventi
come in un film senza finzione
in cui ci siam dati la mano
sotto un cielo di stelle e coralli.
Abbiamo visto i figli dei figli
in tormentate storie vissute
in cui abbiamo riso e poi pianto
e fatti rialzare dalle loro cadute,
ma quello che mai io ti ho detto,
mentre gira ancora quel disco
ed è quasi alla fine,
è che non sono all'altezza
di avere la tua stessa forza.
Ma i tuoi occhi brillano ancora
e sembrano leggermi dentro il pensiero
e mi commuovo quando poni il capo sul petto
e mi dici poi con un filo di voce...
baciami stupido, e sogna ancora,
che la vita è un tempo che passa veloce.

Andrea Iaia


lunedì 9 dicembre 2013

Dio mio, come passa il tempo...



Tra il mare dell'infinito
e il bianco del più profondo dei ricordi,
io ti cerco e aspetto
che passi un'altra vita alla giusta mia fermata
per portarmi dove sei.
Poiché un altro giorno senza
quel sorriso sul tuo volto
fa molto male dentro quel silenzio
in cui la luce della luna
sembra stare dentro un pozzo
e che comunque ondeggia dentro quei riflessi
e sembra prigioniera
di un ladro che vuol tenersi 
tutto quello che accarezza.
Respiro un'altra notte
dall'aria di odori strani
e dove gli occhi sono luci
che guardano nel buio,
cercando le tue mani
per arrivare all'indomani,
come quella notte in cui ci siamo detti tutto
in quel casolare e da clandestini
in cui ognuno ha lasciato un pezzo di se stesso
in quel fantastico cinquant'otto.
E sono dentro a briciole di ricordi
che spaziano nella polvere e sono appese nel soffitto...
in una musica che gira dentro un disco
su un grammofono che gracchia
ed elisir nei vassoi,
in bicchieri di cristalli, quelli buoni di boemia
per le grandi occasioni.
Dio mio, come passa il tempo...!!!
E sento proprio come allora gli sguardi addosso
di coloro che riempivano la sala
di caldi applausi
e dicevano... lunga vita alla sposa...
in quel candore dall'aria più boriosa,
dove mio padre aveva speso una fortuna
per farmi scendere dalle scale
come una diva tra petali d'arancio
per poi piangere al distacco
e nel vedermi entrare in quella porta, dove oltre,
c'era stessa luce bianca nel candore
di un segreto che prendeva vita nel mio ventre.
Dio mio, come passa il tempo...
e tu fanciulla, ascolta e ascolta...
anche se non ricordo più cosa devo dirti,
ma che comunque hai davanti la tua vita
e lo sentirai quel profumo che ti attira
e ti farà capire chi sarà poi quell'uomo giusto che tu aspetti.
E se ti capita di vivere quel giorno 
che passa una volta sola per esaudire un sogno,
afferra l'occasione e non lasciare che ti scappi
o che qualcuno rubi
il vagito di un volo che si dissolve
allo schiocco delle dita.
Tra il mare dell'infinito
e il bianco del più profondo dei ricordi...
vivila fino in fondo la tua vita
comunque vada.

Andrea Iaia

mercoledì 4 dicembre 2013

Neve sarà il mio cuore



Mi lascerò rapire 
dai colori evanescenti dell'aurora,
io che guardo il cielo
e che come un aviatore attraverso il suono dei miei sogni,
perché vagando nelle vie tortuose delle nuvole
troverò la porta un po' socchiusa 
per passare dal silenzioso mondo dei tuoi occhi
a quello forse sciocco dello scendere da una collina
con te al mio fianco, con le braccia aperte
a formare aeroplani e sentire il vento
fendere i tratti delicati del nostro volto.
E aspetterò che ti stupisci ancora di quei fiocchi
che andarono ad imbiancare 
la terra fertile del tuo cuore
e che ti hanno fatto piangere cristalli di delizioso sale
nel veder dal manto i tulipani
come piccoli bambini che ti salutavano con la mano.
Perché neve è quella parte piena di candore
dove con le mani ora accarezzi le pareti
per essere oltre quelle mura dai disegni irrequieti
e prigioniera di un male che ti divora
e che ora sembra stia dormendo,
ed è mansueto solo perché è sazio della carne.
Ma si sveglierà e sarà neve quella parte di domani
dove io sarò al tuo fianco solo nelle foto
in cui ci scoppiava il cuore, come quella volta,
dopo che ci siam spogliati
e buttati a letto vestiti e bagnati di quei freschi fiocchi
che ci han bloccati sulla strada.
Come neve era la pelle al gioco di quei dolci sentimenti
quando ci siamo abbracciati e stretti forte
in quella camera di albergo,
e stesi al letto davanti al fuoco di un camino
e mi dicesti... "Io lo voglio quel bambino!".
Mi lascerò rapire dai colori chiari di una nuova alba
perché sotto quella coltre bianca
dove sotto la finestra
passa il tram dei desideri,
c'è ancora erba verde e radici di quegli abeti
in cui guardavi le cime tempestose
toccare quasi il cielo
e dicevi... sarà Natale un po' diverso e con disgelo
se toccherò il tuo cuore e lo avrò un solo istante
e ti darò il meglio di questo bianco apparente.
E invece, sono qui a vederti forse andare
in quel volo e solitaria dalla collina
con il soffio dello stesso vento sopra il volto
e con le braccia aperte
verso un'altra neve
dove l'anima fluttuerà
nel profumo di una nuova vita.
E di neve si coprirà il mio cuore
quando ascolterò quei palpiti che mi faranno male,
ma soffice diventerà quando il sole scioglierà
quel suono ancestrale dei sospiri
e sentirò ancora la tua voce
la notte di Natale.

 Andrea Iaia  


lunedì 2 dicembre 2013

Sospesi...



Sospesi nel mondo
in un filo sottile di malinconia
a metà di un colore, su una strada,
senza un preciso sentiero...
sospesi in un soffio di vita
dove gli occhi
hanno una visione pulita
di quello che può essere un cielo
quando viene guardato da sotto...
e invece ci pare che siamo caduti dall'alto
e precipitati all'inferno.
Sospesi in un sogno
che ci pare un passaggio segreto verso l'ignoto
dove non ci sono specchi per confrontarci
ma simili che cercano anch'essi qualcosa,
e non un mattino diverso
ma un percorso dove abbiamo messo
le persone scomparse.
Io vorrei invece non legarmi al rimorso,
ma bere quel sorso di vita
come un'elisir che mi faccia ritrovare
dentro me stesso
e magari tornare a giocare
con quei giochi messi da parte
e a farmi cucire un vestito da un vero sarto
e non quelli indossati, banali e a misura,
confezionati e senza amore.
E vorrei scrivere con penna ed inchiostro
perché è li che trovo il mio estro
e non in fredda tastiera con vocaboli strani...
e nel sospeso ci metterei
quei giochi elettronici che isolano anime
e quei social network che ti rinchiudono
dentro una gabbia
e ti fan diventare narcisi.
Sospesi dentro un linguaggio siamo,
quando tiriamo troppo la corda
e ci adagiamo a salire senza fare le scale...
precipitiamo, e le nuvole che ci cadono in testa
e ci fanno del male,
ed è allora che ci perdiamo
e ci sentiamo esclusi
dalla divina lista.


Andrea Iaia