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sabato 2 novembre 2013

La danza del silenzio



 
C'è la mia anima nella valle
in cui magica è la luce in accordi d'acqua tersa
che diventano compagni nei riflessi di quei giorni
della festa del castagno...
amplesso di ciò che la natura offriva
nel togliere il suo velo
ad un disegno che faceva stare bene.
Un tuffo nel passato
dove danzano le immagini
tra lenzuola lavate e stese al sole
ondulate appena dal saluto al vento,
che scostava ciocche
ad una donna china sulla cesta del bucato...
con i suoi seni bianchi esposti...
unguento sulla pelle e balsamo per un infante
che si nascondeva apposta per scoprirla in quell'oltre,
dove il confine della gonna
si fermava ai reggenti dei miei certi affanni.
E in un passaggio di parole di un suo canto
il silenzio mi prendeva fuori tempo
modulato dai profumi di quei campi
nel miscuglio dei pensieri vagabondi
mentre spiavo quelle grazie dell'autunno
e sognavo d'incrociare il suo sguardo
anche solo per un'istante
per offrirle il morboso bacio sulla bocca.
La danza del silenzio nei respiri soffocati,
dolce e pia sequenza di un fanciullo innamorato
di un sogno troppo grande...
era figlio di una voglia di scoprire il sesso
con lei che mi sorprendeva
in quel bucato troppo lindo
confuso ed estasiato
nei sospiri miei più profondi.
Poi, all'improvviso un uomo alle sue spalle
conturbò quel silenzio nella valle...
uno con la giacca verde
a calpestare il muschio con gli stivali grandi
e dietro a lui, soldati a piedi
in un ritorno forestiero
dove il fiume aveva il sangue dello straniero.

Ricordo quell'odore acre e quei calci nello sterno,
le urla della donna nella violenza di quel giorno
e io che non capivo.
Dicevano ch'era una puttana e se lo meritava
sol perché per un pugno di farina
aveva accolto lo straniero
e quelli, la sera prima,
furono selvaggi, oltre al bosco
in un misero villaggio.
Ma per me era solo una donna stretta dentro il suo bisogno
di sopravvivere al destino,
e in fondo, anche lei aveva figli da sfamare
e anche di quel poco da sognare.
Guardai a turno consumare quel vil pasto
come belve affamate sulla preda...
io che adesso sono un prete
e mi vergogno della danza del silenzio
che mi prese in quello strazio troppo grande
nel veder quelle lenzuola macchiate
dal suo sangue.

E la finirono al vespro della sera
con la scusa di una guerra che la vista appanna...
e che quella donna non era che un inganno,
una che non doveva poi svegliare il sonno
di un istinto un po' animale.
Ma per me era solo un sogno troppo grande...
una che piegata al suo bucato
e con i seni bianchi esposti
mi lasciava senza fiato
nel remoto tempo di uno sfogo al vento.
Guardai la scena chiudersi col rimorso
nascosto tra le foglie del castagno sanguinante
a quelle impronte ferme che calpestavano il silenzio
mentre se ne andavano tutti quanti...
e fu allora che la pietà mi avvolse
come un pugno nello stomaco disciolto
ad un vigliacco
che non s'era fatto uccidere con lei
in quel ritaglio capovolto.
La coprii con un lenzuolo contemplando il volto
e la baciai sulla bocca con un pianto a tratti rotto.
E nella danza del silenzio
in cui magica è la luce
in accordi d'acqua tersa,
quel novembre torna come spettro
mentre ricalco il ritorno nella valle
per depositare fiori in quel sogno rotto dall'inganno.
Andrea Iaia

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