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giovedì 15 gennaio 2015

Quel monello...

mimbeau:

Rue Lepic at Montmartre
Paris 1930s
Keystone Agency

Esplodo come un fiore che s'apre al sole
e come una speranza da rivalutare
quelle cose ormai passate,
perché non dimentico da dove son venuto
e qual'è la mia fede.
Ti dicono che non tornerai indietro
e che il grigio è un colore un po' brutale,
ma la pioggia e l'acqua
sono frutti dello stesso cielo
che danno forma a nuova vita,
e nessuno ha pianto per un moto ancestrale
o di sguardi verso il fondo per capire
dove finisce ed inizia una nuova storia.
Io son cresciuto a pane duro
dove i rulli di tamburi era il flusso d'acqua 
che scorreva come sangue nelle vene,
 figlio di un dopo guerra
e monello nel mio tempo,
catturando indignazione per un poco di sorriso...
e magari avessero capito quelle persone curve dentro i campi
e le loro donne vestite sempre a nero
che nei calzoni corti e in quella faccia sporca
c'era un sogno da sciogliere come un colore nuovo
sulla tavolozza degli acquerelli del destino.
Sono stato un figlio senza il prodotto di una marca
che oggi distingue i figli separandoli da altri,
e non c'era la Nutella e la Coca Cola per essere sparvieri,
ma del caffè o del buon vino sopra il pane
arricchito con lo zucchero per essere mondano...
cioccolato dagli americani, quello duro... 
e sembra ieri che stracci avvolti formavano un pallone
da tirare a calci nella polvere,
 dove Ciccio, l'amico più nutrito
stava sempre in porta a difendere la sua squadra arcobaleno.
Oppure mi divertivo a salire sui lampioni
mentre mia madre mi spiava da dietro le persiane
per vedere l'ombra di quel sole che mi moriva oltre,
e se avevo sassi che bucavano le tasche
per tirarle dietro ai vetri di una fanciulla innamorata
di un monello, qual'ero io nel suo sogno che era anche il mio.
 E dall'altipiano delle nuvole
nascondevo le speranze da riprendere da grandi
e le sigarette nei calzini da fumare insieme,
magari poi da soli e distesi sopra l'erba, 
quando non c'erano domande sul bene e il male, 
e nemmeno quel pretaccio di campagna
che ti ammoniva sempre per gli atti impuri,
ma che sotto sotto ci filava a voler sapere 
com'era andata con la figlia del barbiere.
Se il progresso è diventato un prodotto deficiente...
allora vorrei tornare ad essere quello dai capelli scompigliati,
magari ora che ho la faccia più pulita
e non ho la stessa strada dove son cresciuto,
perché a differenza di quel che piace
e del benessere, rapace di anime da mangiare,
io sono quel monello dentro
che non rinnega i pugni in faccia
e le botte avute da mia madre,
per raddrizzarmi la mia schiena, la sua filosofia,
 in quel velo di sapore dove il profumo di saper crescere
non aveva la paura del domani.

Andrea Iaia

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