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sabato 2 febbraio 2013

A S.Anna c'era...


Lì, dove l'acqua ha scavato una gola stretta
son passati fanti per la chiesa di S. Anna
nell'inverno di una notte asciuttta
con i loro canti ad addolcire stelle.
E le lacrime di quella luce sulla pelle
non son distanti da quel tempo,
e non è nemmeno raccontato
sui libri della storia...
ma vive dentro quella casa dalle luci ancora accese
che oggi porta il nome di memoria.

C'era il viaggio di sfollati,
ma c'è chi giura che erano felici
in quella terra dalle case nella roccia...
una camera per tutti,
divisa solo da una tenda
e da quel canto di una donna
che scioglieva la sua treccia.

E il profumo di polenta con farina di castagne
bagnata con il latte delle capre...
il bacio degli innamorati al tramonto sconosciuto
dove il sole scompariva oltre le montagne
di un blù mai vissuto.
L'odore di lavanda nella brezza della sera...
il canto di cicogna sul tetto di una casa...
e c'era Silvia che dava da mangiare ai suoi conigli
che dicevano di lei, aveva perso quattro figli
uccisi da quell'odio travestito da un'aquila dai lunghi artigli...
uno straniero che occupava la sua terra...
e Ciro, l'unico rimasto di otto anni, muto...
dall'aver visto il padre trucidato lo scorso inverno.

Lorenzo, con il fratello Gino
cavatori nelle grotte di un posto più vicino
dove il mare si udiva nelle viscere di montagna
uniti a loro come una famiglia,
per dividere il pane a più bocconi
tra i ceppi di un braciere
dove il fuoco bruciava giusta legna.
E c'era il sogno nella testa di Lorenzo
che non poteva mai mutare
perché fuggiasco da un distretto militare
dove i fasci lo avevano costretto a bere olio
per una presunta accusa appena di sbadiglio
al passaggio di un gerarca.
E Gino congedato per malaria
non ricordava quel colpo di moschetto nello sterno...
camminava curvo, e diceva a tutti quanti
che la memoria non si scrive in un quaderno.

Fucilati tutti quanti,
catturati da una promessa di perdono...
il vile canto del leone.
Se qualcuno è vivo alzi la sua mano
che lo portiamo in ospedale”...
il finale atto di un crucco caporale
dalla risata becera somigliante a quella di un cinghiale...
e quelli che l'alzarono... furono colpiti alla testa
da un plotone che voleva ridere alla sua festa.

Oltre 500 somiglianti a quel Cristo
senza vita e senza croce di un agosto più feroce...
e C'era Anna, di appena 20 giorni,
Evelina, che quel mattino aveva le sue doglie,
Genny, che prima di morire, per difendere suo figlio
scagliò il suo zoccolo in faccia a quel nazista...
dall'anima infame e più spoglia.
Il prete del paese, che implorava quei soldati
di risparmiare la sua gente..
il pianto più scomposto di una chiesa devastata
da quell'odio indefinito...
e otto fratellini con la loro mamma
indifesi e senza colpe.

A Sant’Anna di quel quarantaquattro,
l'uomo uccise il suo io staccando quel biglietto
per un vile viaggio da turista
nell'inferno suo diletto.
E lasciò il fuoco a cancellare tutto,
ma la memoria è come un pasto
che non dimentica che l'odio alimentato
diventa poi un gran banchetto.
A S. Anna c'era il girotondo dei bambini,
ma forse un Angelo distratto
s'è spaventato dal ghigno di quelli acerrimi aguzzini
ed è volato a piangere come un pellegrino
sulla muta tomba
di suo padre contadino.

Andrea Iaia

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